lunedì 4 maggio 2009

La Medicina come Arte magica (Il Ramo d'Oro)

In precedenza abbiamo descritto la figura di Ippocrate ed il suo contributo alla medicina come la scelta di non dare delle malattie una interpretazione mistica, piuttosto cercarne una razionale spiegazione, delle cause, del modo in cui si instaurano, del modo in cui si guariscono, basata su ragionamenti definibili scientifici e soprattutto sull'osservazione delle cose, scevra di influenze metafisiche.

La domanda che ci poniamo adesso è: cosa c'era prima di Ippocrate? come si realizzava realmente una medicina basta su incantesimi, in cui la causa del male è il divino o soprannaturale? è chiaro che può basarsi su diversissime modalità, da castighi divini, anatemi, fino a vera e propria magia, magari per causa di uno stregone a nome di qualcun altro, con intervento di un mal definito soprannaturale, come spiriti e spettri, che solo con atti magiche e sortilegi poteva essere guarito.

c'è da precisare che Ippocrate non è uno spartiacque nei tempi: la scelta di ragionare in medicina non riguardò che uno scarno manipolo di uomini in un determinato periodo di tempo: ci volle tempo e tempo perchè le intuizioni di Ippocrate e altri potessero realmente affermarsi nella popolazione..

Qui riportiamo un brano tratto dal Ramo d'Oro, trattato di Antropologia di inizio 900 di James George Frazer, scozzese, che si propone di analizzare riti magici e religiosi di tutte le culture e popolazioni di ogni tempo, alla ricerca di elementi comuni di modo da darne una chiave di lettura unitaria. Al di là del pretenzioso scopo di quest'opera, che la critica ha ampiamente non riconosciuto, rimane a noi una interessantissima raccolta di miti e eventi misteriosi, affascinanti.

Uno di questi riguarda l'influenza della magia nella medicina.

Prima di passarne alla lettura, precisiamo che la Magia,  atto che fa riferimento ad una forza occulta e metafisica, può essere in vari modi classificata.

una delle più ampie classificazioni distingue la magia in una ripetizione d'atti per similarità (cosiddetta omeopatica), che può essere positiva, Sortilegio, (Ex compi questa azione affinchè avvenga questo e questo..) oppure negativa, Tabù (Ex non compiere questa azione affinchè non accada questo e questo..), da una che invece si basa sul contatto tra due cose, magia da contatto o contagiosa.

Per essere più espliciti, nella magia imitativa, omeopatica,  un incantesimo esercitato su un qualcosa di simile determinerà l'effetto su quello (ex trafiggere una raffigurazione di un guerriero, e il guerriero in carne ed ossa morirà trafitto), mentre in quella da contatto un elemento andato a contatto con l'ente che ci interessa assumerà la stessa proprietà (un po' come una reliquia è santa).

Con questa premessa, ci sarà più chiaro il brano seguente:



..Un'altra applicazione benefica della magia omeopatica è quella di curare o prevenire le malattie. Gli antichi Indù celebravano un elaborato rituale, basato su quel tipo di magia, per curare l'itterizia. Obiettivo principale era quello di trasferire il colore giallo a cose e creature gialle, per esempio il sole, al quale questo colore spetta di diritto, e infondere nel paziente un colorito sano e roseo, traendolo da una fonte viva e vigorosa, vale a dire un toro rosso. A tale scopo, un sacerdote recitava il seguente incantesimo: "La tua angoscia e la tua itterizia salgano al sole! Noi ti avvolgiamo nel colore rosso, affinché tu abbia lunga vita! Che questa persona ne esca incolume, libera dal colore giallo! Che le giovenche, la cui divinità è Rohini e che, inoltre, sono esse stesse rosse (rohinih) -in ogni loro forma e in ogni vigore, ti avvolgano. Nei pappagalli, nei tordi, poniamo la tua itterizia, e nella cutrettola gialla". Pronunciando queste parole il sacerdote, per infondere il colorito roseo della salute nel paziente giallastro, gli faceva sorseggiare acqua mescolata al pelo di un toro rosso; cioè versava l'acqua sul dorso dell'animale e poi la dava da bere all'ammalato; lo faceva sedere su una pelle di toro rosso, legandogliene un pezzo intorno al corpo. Per migliorare il colorito, cancellandone completamente il giallo, cospargeva poi il paziente, da capo a piedi, con una poltiglia gialla di zafferano o curcuma; poi lo faceva sedere sul letto, ai cui piedi legava, con un cordoncino giallo, tre uccelli gialli, vale a dire un pappagallo, un tordo e una cutrettola e, versandogli addosso dell'acqua, lavava via la poltiglia gialla - e con essa, naturalmente, l'itterizia - trasferendola da lui agli uccelli. Dopo di che, per dare un tocco finale di roseo all'incarnato, prendeva dei peli di un toro rosso e li avvolgeva in una sfoglia d'oro che poi incollava alla pelle del paziente. 

Secondo gli antichi, se un malato d'itterizia guardava fissamente una beccaccia, e l'uccello ricambiava lo sguardo, guariva dalla sua malattia. "Tale è la natura", scrive Plutarco, "e tale il temperamento di questo uccello che esso estrae e riceve la malattia che fuoriesce, come un torrente, attraverso lo sguardo". Gli ornitologi erano così convinti di questa incommensurabile virtù della beccaccia che, quando ne avevano una da vendere, la tenevano accuratamente coperta onde evitare che un malato di itterizia la guardasse e fosse, così, curato gratuitamente. La virtù dell'uccello non stava nel suo colore ma nel suo grande occhio dorato che, naturalmente, attirava e assorbiva il giallo dell'ittero. Plinio ci parla di un altro uccello, o forse è lo stesso, che i greci chiamavano con il nome che serviva anche a indicare l'itterizia perché, se un itterico lo vedeva, la malattia passava da lui all'uccello. Accenna anche a una pietra che si riteneva curasse l'itterizia per il suo colore, simile a quello della pelle di un itterico.

Uno dei grandi vantaggi della magia omeopatica è che la cura può essere applicata alla persona del medico, anziché a quella del malato il quale rimane, in tal modo, esente da disturbi e disagi mentre il medico si contorce fra i dolori davanti ai suoi occhi. Per esempio, i contadini di Perche, in Francia, sono convinti che un prolungato attacco di vomito sia dovuto al fatto che lo stomaco del paziente si sgancia, come dicono, e cade in basso. Di conseguenza, chiamano un praticone perché lo rimetta a posto. Dopo aver ascoltato i sintomi, il praticone dà inizio a una serie di orrendi contorcimenti allo scopo di sganciare il proprio stomaco. Una volta riuscito nell'impresa, lo riaggancia con un'analoga sequela di smorfie e dimenamenti mentre il paziente sperimenta un analogo sollievo. Tariffa, cinque franchi. Allo stesso modo un guaritore dei Dayak, chiamato presso un paziente, si sdraia fingendo di essere morto. Viene quindi trattato come un cadavere, avvolto in stuoie, trasportato fuori casa e poggiato a terra. Dopo circa un'ora, un altro guaritore scioglie il finto morto e lo riporta in vita; via via che il "defunto" si riprende, dovrebbe riprendersi anche il malato. In un suo bizzarro trattato di medicina, Marcellus di Bordeaux, medico di corte di Teodosio I, suggerisce una cura per i tumori basata sul principio della magia omeopatica. La cura è la seguente: prendete una radice di verbena, tagliatela a metà, appendetene una parte al collo del paziente e l'altra sopra il fumo di un fuoco. Via via che la verbena si dissecca, anche il tumore si prosciugherà fino a scomparire. Se, una volta guarito, il paziente si dimostrasse ingrato nei confronti del bravo medico, questi potrà facilmente vendicarsi gettando la verbena nell'acqua; le radici assorbono di nuovo l'umidità e il tumore ricompare. Se poi soffrite di foruncoli, lo stesso sapiente autore vi raccomanda di fare attenzione alle stelle cadenti e, appena ne vedete una, mentre ancora attraversa il cielo, strofinate i foruncoli con un panno o con la prima cosa che vi capita sottomano. Come la stella cade dal cielo, così i foruncoli cadranno dal vostro corpo; attenti però a non strofinarli con le mani nude, o vi si copriranno di foruncoli.