domenica 31 gennaio 2010

la Medicina Omeopatica (Homöopathie)

Come spesso succede, anche nella scoperta del principio omeopatico di guarigione, il caso ebbe un ruolo determinante. Due secoli orsono, il medico ricercatore e chimico Christian Samuel Friedrich Hahnemann (1755-1843), durante la traduzione di un’opera medica dall’inglese al tedesco (la Materia Medica di Cullen), riscontrò una descrizione confusa degli effetti della corteccia di china, secondo cui la china avrebbe avuto capacità di guarire la febbre malarica stimolando l’attività gastrica. Egli rimase colpito dall’osservazione che i lavoratori della corteccia di china (allora utilizzata per preparare ricostituenti) accusavano disturbi molto simili ai sintomi della febbre malarica.

Partendo da queste osservazioni il dott. Hahnemann prese la decisione di provare su se stesso gli effetti della corteccia di china. Fu quello il primo esperimento farmacologico che dette l’avvio ad un nuovo metodo di ricerca d’importanza basilare: la farmacologia sperimentale.

Il dott. Hahnemann si somministrò per alcuni giorni, 2 volte al dì, 4 pizzichi di buona china (2 dracme, pari a 25,5 gr); come testualmente scritto, si verificò quanto segue: “I piedi, le punte delle dita… prima si raffreddarono, ero fiacco e stanco, poi il cuore cominciò a pulsare, il polso era duro e veloce, c’era un’angoscia insopportabile, un tremore (ma senza brivido) e una fiacchezza in tutte le membra; poi sentii battere alla testa, rossore alle guance, sete, in breve tutti i sintomi della febbre intermittente tipica della malaria apparvero uno dopo l’altro, ma senza brividi febbrili veri e propri”.

Il dott. Hahnemann così conclude: “Questo parossismo durava 2-3 ore ogni volta e si rinnovava ripetendo la somministrazione; smisi e vidi che ero guarito”.

In seguito Hahnemann provò molte altre sostanze sia su stesso sia su altri soggetti sani con il suo metodo sperimentale che chiamò “sperimentazione farmacologica omeopatica o patogenesia”.

Dopo innumerevoli prove, arrivò alla conclusione che tutte le sostanze da lui studiate provocavano nell’uomo sano un effetto simile ad una malattia. Il dott. Hahnemann chiamò questo stato patologico “malattia da farmaco”. I sintomi rilevati provocati da una stessa sostanza su individui diversi, furono raccolti da Hahnemann col nome di “quadro farmacologico della sostanza sperimentale o Materia Medica della sostanza”.

A questo punto Hahnemann cominciò ad utilizzare sui malati i rimedi sperimentati, nei casi in cui il quadro patologico presentato dal paziente corrispondeva al quadro del farmaco o, au contraire, quando i sintomi della malattia rappresentavano l’immagine riflessa dei sintomi provocati dal medicinale.

Questo principio della similitudine in Omeopatia è tuttora valido.

Nell’utilizzo pratico di questo principio Hahnemann arrivò alla conclusione che la somministrazione delle sostanze originarie, troppo concentrate (o velenose), provocava nel malato un peggioramento iniziale che corrispondeva ad un’esacerbazione di tutte le manifestazioni della malattia. Questa osservazione portò all’applicazione del principio di diluizione ( o delle dosi infinitesimali), ossia della somministrazione del farmaco in concentrazioni attenuate.

Il dott. Hahnemann chiamò il nuovo principio curativo col termine “omeopatia” perché si basava sulla regola del simile (similia similibus curentur).

Nel 1796 pubblicò sulla rivista specialistica “Hufeland Journal” (allora molto rinomata) la sua opera diventata famosa “Prove sul nuovo principio per la ricerca di virtù terapeutiche nelle sostanze medicinali, con particolare attenzione a quelle finora utilizzate”. Tale pubblicazione è considerata il battesimo dell’omeopatia.

Il suo lavoro metodico e geniale avvicinò al dott. Hahnemann molti sostenitori. Fu chiamato all’Università di Lipsia dove insegnò per 10 anni. Più tardi fu medico personale dei duchi Auhalt a Dessau e Köthen. Infine trascorse gli ultimi anni della sua vita a Parigi, continuando ad esercitare la professione medica fino alla sua morte. E’ sepolto nel cimitero parigino di Père Lachaise.



fonte : www.uninamed.it

sabato 2 gennaio 2010

il Medico di paese di una volta: il dott. Andrea Mattis

In questo piccolo intervento a cavallo tra vecchio e nuovo anno, momento di grande rilievo esoterico (il passaggio dall'accorciamento all'allungamento delle giornate, la morte e rinascita delle stagioni, della vita, il Natale, che assieme al Capodanno richiedono una strana doppia vigilia e doppio pranzo), rimaniamo con toni semplici, raccontando della storia semplice di un medico di paese, in era preantibiotica, realtà che qualunque medico almeno per un po' nella sua vita desiderebbe vivere..


La casa di Andrea Mattis è stata utilizzata in passato dal comune di Quadrelle (AV) come sede del Municipio e delle Scuole materne ed elementari. Andrea Mattis rappresenta infatti per Quadrelle, piccolo comune arroccato alle pendici dei Monti d'Avella, nell'entroterra Campano, una figura importante come medico chirurgo, patriota, scrittore e poeta. Nato a Quadrelle nel 1806 da famiglia piccolo borghese, dopo essersi laureato a Napoli (dove frequentò la facoltà di Belle Lettere e Filosofia e successivamente quella di Medicina e Chirurgia), fece ritorno al borgo natio, per svolgervi la professione di medico. Tuttavia, continuò a coltivare la sua passione per le lettere ed a voler fortemente l'unità d'Italia. Le sue opere, che riflettevano tali idee, erano note non solo a Napoli, ma persino a Pavia, in Francia ed in Inghilterra. Per le sue idee, venne schedato dalla polizia borbonica come "acceso liberale". Nei suoi testi compromettenti, nascosti in tempo da un suo nipote della famiglia Pagano, il Mattis descriveva la sconsiderata sete di potere dei cortigiani di Ferdinando II, attenti ai propri interessi e non a quelli del popolo e dei sacerdoti, dimentichi della missione sacerdotale e divenuti preti dei Borboni. Le sue idee in merito alla causa dell'Unità d'Italia gli fecero patire il carcere politico a Baiano e Caserta. Purtroppo, non ebbe il tempo di godere della gioia dell'unità d'Italia, poichè la notte del 7 maggio 1861, una banda di briganti, che si nascondeva sulle montagne del Partenio, invase il paese ed assaltò il posto delle guardie in piazza Plebiscito, impossessandosi delle armi. I Quadrellesi furono presi dal panico e si barricarono in casa, facilitando quanto i briganti avevano in mente: rapire Mattis, che odiavano per le sue idee liberali. Penetrarono nel suo palazzo, lo colsero nel sonno e, senza rubare nulla, lo catturarono. Nello sbandamento generale, vi fu chi comunque corse ad avvisare il comando militare al Cardinale. Altri informarono del fatto la nobile famiglia Pagano, molto legata ai Mattis. Don Gennaro Pagano, pensando erroneamente ad un rapimento a scopo di estorsione, consegnò tutto il danaro che aveva in casa ad un suo colono, Benedetto D'Apolito, con l'incarico di raggiungere i banditi e pagare il riscatto. Purtroppo, il colono non potè far altro che avvisare le autorità, essendo venuto a sapere che la lunga fuga dei banditi era finita tragicamente per il Mattis, il quale era stato abbandonato in fin di vita, all'inizio del Bosco Cupole, dove ora il suo corpo giaceva cadavere. Mentre si faceva buio, il cadavere del Mattis venne trasportato al suo palazzo dai Bersaglieri venuti da Mugnano (erano di stanza al Cardinale). Il giorno seguente il comandante della sopraggiunta forza pubblica, adirato verso i Quadrellesi per non essere intervenuti, era risoluto nella fucilazione non solo dei briganti (poi catturati, ed il capo, Angelo Bianco, detto "Turri Turri" fucilato), ma anche degli stessi paesani ritenuti conniventi. Fu solo grazie all'intervento della signora Maria Gaetana Lucente Mazzarelli che fu possibile indurre alla ragione il milite.Il corpo di Andrea Mattis fu portato nella chiesa parrocchiale dell' Annunziata di Quadrelle, nella tomba della famiglia Pagano, prima di essere definitivamente tumulato nel cimitero. Durante la rassegna artistica Artènot il Comune di Quadrelle, in suo onore, promuove il Premio Poesia "Andrea Mattis".


si ringraziano per il contributo i discendenti della Famiglia Pagano.