venerdì 6 agosto 2010

Le Storie di Mileto

I due seguenti passi vengono tratti dalla raccolta "Storie di Mileto", A. Mondadori, a cura di Paola Ferrari. La raccolta si propone di individuare in numerosi passi di svariati autori della letteratura classica latina e greca elementi della perduta Fabula Milesia. Oltre ad essere presenti interessantissimi spaccati di vita quotidiana, forse nei suoi elementi più maliziosi, sono talora presenti anche episodi di storia della medicina. Questa volta, ovviamente, le descrizioni non descrivono eroiche gesta mediche o brillanti scoperte, ma piuttosto il ruolo del Medico dell' epoca nella sua pratica quotidiana così come la percezione delle malattie per l'epoca.

Nel brano di Senofonte Efesio è infatti interessante la descrizione dell' Epilessia, la malattia sacra, mentre in quello di Aristeneto è divertente leggere come operava il medico dell' epoca e quale fosse il suo status sociale.


SENOFONTE EFESIO, ANZIA E ABROCOME V, 7.

Dopo un po' di tempo, il lenone che aveva comprato Anzia la obbligò a mettersi in mostra davanti al bordello. Le fece indossare un abito vistoso e molti gioielli, e la condusse là dove la ragazza avrebbe dovuto offrirsi ai clienti. Lei si lamentava disperatamente, e diceva: "povera me, quante disgrazie! non è abbastanza quel che mi è capitato: le catene, i pirati? Ora sono costretta anche a fare la prostituta! Non ho ragione di disprezzare la mia bellezza, che rimane con me solo per procurarmi dei guai? Ma farei meglio a smettere di lamentarmi e a trovare un mezzo per conservare la castità che finora sono riuscita a difendere". Mentre diceva così, veniva trascinata al bordello, e intanto il lenone un po' le faceva animo, un po' la minacciava. Quando arrivò e fu messa in mostra, accorse una folla di persone che ammiravano la sua bellezza, e i più erano pronti a pagare per soddisfare il loro desiderio.

-La disgrazia sembrava irreparabile, ma la ragazza trovò una via di scampo: cade a terra, fa vibrare tutto il corpo, e si comporta come quelli che soffrono della malattia chiamata "sacra". I presenti furono presi da pietà mista a paura; rinunciarono a ogni appetito sessuale e si presero cura di Anzia. Il lenone capì la sfortuna che gli era capitata e, convinto che la ragazza fosse davvero malata, la portò a casa, la fece distendere e si occupò di lei; quando sembrò che stesse meglio, le chiese la causa della malattia. Anzia gli rispose:

"Già da un po' di tempo avrei voluto rivelarti la mia disgrazia, padrone, e spiegarti quel che mi capita; ma ho avuto vergogna e ho taciuto. Ora però non c'è più motivo che stia zitta, visto che ormai sai tutto sul mio conto. Quando ero ancora bambina, una volta presi parte a una festa: durante la veglia notturna mi allontanai dai miei parenti e finii vicino alla tomba di un uomo morto da poco; qui mi sembrò che qualcuno balzasse fuori dal sepolcro e cercassi di prendermi. Io fuggii gridando, perché quell' uomo aveva un aspetto spaventoso, e una voce ancora più terribile; alla fine si fece giorno, e lui mi lasciò andare; ma prima mi colpì al petto, e disse che mi aveva trasmesso questa malattia. E da allora, di tanto in tanto, sono soggetta agli attacchi del male, in forme sempre diverse. Ma ti supplico, padrone, non essere arrabbiato con me: la colpa non è mia. Tu puoi sempre rivendermi senza perdere nulla della somma che hai pagato per me."

Il lenone non fu affatto contento di sentire queste cose, ma non se la prendeva con lei, perché non era colpa della ragazza se si trovava in quelle condizioni.


ARISTENETO, Epistole I, 13 (Euticobulo ad Acestodoro)

Grazie alla lunga esperienza ho imparato anche questo, carissimo: perfino la scienza ha bisogno della fortuna ,e la fortuna a sua volta può essere sfruttata appieno solo grazie alla competenza. La scienza infatti non dà risultati se non è sostenuta dal dio, mentre la fortuna si esalta se offre la buona occasione a chi la sa sfruttare. Ma mi rendo conto che questa premessa è anche troppo lunga per chi ha fretta di ascoltare: veniamo dunque a i fatti, senza altri indugi. Caricle, il figlio di quel brav' uomo di Policle, era malato d'amore per una concubina del padre e languiva a letto: simulava una sofferenza fisica non meglio definita, ma in realtà era l'anima la sede della malattia. Il padre allora, da buon genitore affezionato al figlio, chiamò subito il medico Panaceo, un dottore davvero degno del suo nome. Costui appoggiò le dita sul polso e prese a spaziare con la mente nei più alti cieli della medicina. L' espressione dei suoi occhi tradiva con quanta concentrazione cercasse di formulare la diagnosi: ma non seppe trovare alcuna malattia nota all' arte medica. Per molto tempo l'illustre dottore non seppe che pesci pigliare; ma ecco che per caso la donna passò vicino al ragazzo: subito il polso accelerò e divenne irregolare, lo sguardo si velò e il viso denotava turbamento, esattamente come il polso. Da questi due segni Panaceo diagnosticò la malattia, ottenendo, grazie alla buona sorte, il successo che l'abilità gli aveva negato; ma tenne per sé la sua buona fortuna, riservandosi di parlare al momento opportuno. E, in occasione della prima visita, le cose andarono così. Quando tornò una seconda volta, ordinò che ogni ragazza e ogni donna della casa passasse davanti al letto dell' infermo, non a gruppi, ma a una a una, separate l' una dall' altra da un breve intervallo. E intanto tastava con le dita l'arteria del polso, che per i discepoli di Asclepio è l'ago della bussola, la spia infallibile del nostro stato di salute. Il malato d' amore rimaneva tranquillo davanti alle altre donne; ma quando apparve la concubina di cui era innamorato, subito lo sguardo e il polso gli si alterarono. Il medico, non meno fortunato che abile, fu ancor più sicuro in cuor suo della diagnosi e disse fra sé: "il terzo colpo è quello buono". Per quel giorno se ne andò, con il pretesto di dover preparare la medicina richiesta dalla malattia; promise di portarla il giorno dopo, e intanto confortava l'infermo con parole di speranza e consolava il padre addolorato. All' ora stabilita era di ritorno: il padre e tutti gli altri gli andarono incontro salutandolo amichevolmente e chiamandolo "salvatore". Ma quello esplose in grida di collera e dichiarò sdegnosamente di non volersi più occupare del caso. Policle si mise a supplicarlo, e gli chiese il motivo di quella decisione; ma lui gridava a voce ancor più alta il suo sdegno e manifestava l'intenzione di andarsene al più presto. Il padre lo supplicava ancora più insistentemente, baciandogli il petto e abbracciandogli le ginocchia. Allora, finalmente, il medico si lasciò indurre a spiegare, con parole piene di stizza, la ragione della rinuncia: "Questo qui è innamorato pazzo di mia moglie, è preda di una passione empia, e io sono geloso di lui e non sopporto la vista di chi minaccia il mio matrimonio". Policle, nell' udire la malattia del figlio, arrossì di vergogna, e si sentiva in imbarazzo alla presenza di Panaceo; tuttavia, dando ascolto solo alla voce del sangue, non esitò a implorare il medico di mettere a disposizione sua moglie: non si trattava, a suo dire, di adulterio, ma di un rimedio salutare e necessario. Mentre Policle ancora formulava queste preghiere, Panaceo si mise a urlare: fuori di sé, diceva quel che era naturale che dicesse un uomo a cui si chiedeva, sia pure facendo salve le forme, di trasformarsi da medico in mezzano e di cooperare alla seduzione della sua stessa moglie. Ma Policle tornava alla carica e insisteva a chiamare la cosa un mezzo di guarigione e non un adulterio. E allora il furbo medico gli presentò sotto forma di ipotesi quel che era accaduto davvero, e gli chiese: "Ma senti un po' per Zeus, se il ragazzo fosse innamorato della tua concubina, ti sentiresti di cedergliela?". "Certamente, per Zeus!" rispose quello. E allora l'astuto Panaceo replicò: "Supplica dunque te stesso, Policle, e trova le parole adatte per convincerti. E' la tua concubina quella che costui ama. Se è giusto, come dicevi, che io consegni mia moglie al primo venuto perché si possa salvare, a maggior ragione è giusto che tu dia la tua concubina al tuo figliolo in pericolo." Il ragionamento era ben congegnato, e la conclusione inoppugnabile: il padre si dovette convincere a rispettare i suoi impegni. Non prima però di aver commentato fra sé: "Non è una richiesta da poco! Ma se la scelta è fra due mali, bisogna scegliere il male minore".