l'urina come medicamento
" ...Fero diventò cieco nel modo seguente: ... ... allora dicono che il re, temerariamente, abbia preso un giavellotto e lo abbia gettato in mezzo ai gorghi del fiume: subito dopo si ammalò agli occhi e divenne cieco, e tale rimase per undici anni. L'undicesimo gli fu risposto dall' oracolo della città di Buto che il tempo della sua espiazione era finito e che avrebbe riacquistato la vista se si fosse lavato gli occhi con l'urina di una donna che avesse avuto contatti fisici solo col proprio marito e mai con altri uomini. Dapprima egli fece la prova con l'urina della propria moglie, ma poiché non riacquistò la vista, riprovò con quella di molte altre donne successivamente; quando infine ricuperò l'uso degli occhi, il re raccolse tutte le donne , che si erano prestate alla prova, eccetto quella dalla cui urina era stato risanato, in una città, che ora si chiama Eritrebolo, e le diede alle fiamme insieme alla città stessa. Quella, l'urina della quale l'aveva guarito, la fece sua sposa..."
l'oculista
"...quando Ciro aveva chiesto al re d' Egitto di mandargli un oculista, il migliore che si trovasse nel paese. Risentito di questo, il medico egiziano fece pressione su Cambise..."
i crani più duri
"ho constatato qui una cosa curiosa, che mi era stata segnalata dalla gente del luogo: le ossa dei caduti nella battaglia giacevano ammassate, ma separatamente (da un lato quelle dei persiani, così come erano state messe in disparte fin d'allora, e dall' altro lato quelle degli egiziani); ora i crani dei persiani sono così fragili, che solo a batterli con un ciottolo si sfonderebbero, mentre quelli degli egiziani sono così duri che neppure con una grossa pietra si riuscirebbe a spezzarli. Del fatto mi hanno dato una spiegazione, che mi ha facilmente persuaso: gli egiziani, fin da bambini, si radono il capo e così le ossa del cranio si ispessiscono sotto il sole e per questo stesso motivo essi non diventano calvi. perciò dunque essi hanno il cranio così resistente. Invece i persiani lo hanno fragile, perché sin dall'infanzia tengono la testa coperta con berretti o tiare. queste sono dunque le constatazioni che ho fatte: e di simili ne feci a Papremi sui crani dei persiani che perirono con Achemene, figlio di Dario, sotto i colpi del libico Inaro."
sulla malattia sacra (epilessia)
"in questo modo Cambise incrudelì contro i suoi più stretti congiunti, sia che ciò avvenisse per causa di Api o per altro motivo; ché tanti sono i mali che possono colpire un uomo. Si dice infatti che sin dalla nascita egli fosse affetto da una grave malattia, che alcuni chiamano sacra; nessuna meraviglia quindi che, essendo il suo corpo malato di questo morbo, non avesse sana nemmeno la mente. Ma ecco altri atti di follia da lui commessi contro altri Persiani."
presso gli indiani
"altri indiani, invece, che abitano più a oriente, sono nomadi, si cibano di carne cruda e si chiamano Padei. Si attribuiscono loro queste usanze: quando uno è malato, uomo o donna, i congiunti più stretti, se è uomo, lo uccidono, dicendo che, se lo lasciassero consumare dalla malattia, la sua carne si corromperebbe e anche se quello protesta di non essere malato, non gli danno retta, lo uccidono e lo mangiano in un banchetto. Se si tratta di una donna, che si ammala, sono le donne, sue congiunte strette, che si comportano come fanno gli uomini coi malati di sesso maschile. Se qualcuno poi giunge alla vecchiaia, anche questo i Padei lo immolano e se ne cibano: ma pochi sono quelli che arrivano a tarda età, perché, chiunque s'ammali, viene subito soppresso.
Altri indiani ancora usano così: non uccidono nessun essere vivente, non seminano e non hanno case. Si cibano di erbe: cresce spontaneamente presso di loro una specie di granello, grande press'a poco quanto il miglio e avvolto in un baccello. Essi lo raccolgono, lo fanno bollire insieme col baccello e lo mangiano. Se uno di loro si ammala, si ritira nel deserto e nessuno si cura di lui né durante la malattia né a morte avvenuta."
i migliori medici greci
"Quando già erano stati trasportati a Susa i tesori di Orete, accadde, poco tempo dopo, che Dario, saltando da cavallo durante una caccia grossa, si distorse gravemente un piede, slogandosi l'astragalo. Sempre egli aveva tenuto presso di sé dei medici egiziani, che avevano fama di essere i migliori del mondo: perciò anche in quell'occasione ricorse alle loro cure. Ma essi, sebbene torcessero e sforzassero il piede, non fecero che peggiorare le cose: per sette giorni e sette notti il re non riuscì a prendere sonno per le continue sofferenze: infine, l'ottavo giorno, poiché stava sempre peggio, un tale, che aveva già sentito vantare a Sardi l'abilità di Democede di Crotone, ne parlò a Dario, che comandò glielo conducessero al più presto. Lo trovarono confuso fra gli schiavi di Orete e di là lo trassero al cospetto del re, coi ceppi ai piedi e coperto di cenci.
Dario, come se lo vide davanti, gli domandò se davvero conosceva l'arte della medicina: e quello, temendo che, se rivelava il suo vero essere, non avrebbe potuto mai più ritornare in patria, disse di no. Ma il re, convinto che egli fosse un medico esperto, ordinò a quelli che glielo avevano condotto di portare delle sferze e dei pungoli. Allora Democede confessò di conoscere la medicina, ma non perfettamente, di averne solo qualche nozione per aver praticato molto con un medico. Comunque Dario si affidò alle sue cure e Democede, servendosi dei sistemi greci e applicandogli prima un trattamento energico e poi dei calmanti, gli diede la possibilità di dormire e infine lo guarì in breve perfettamente, quando ormai il re disperava di poter più usare del suo piede come una volta. Per questo servigio Dario donò a Democede due coppie di ceppi d'oro, al che questi gli domandò se riteneva di compensarlo equamente della guarigione, infliggendogli un doppio castigo. Piacque il rilievo a Dario, che mandò il medico presso le sue donne, alle quali gli eunuchi lo presentarono come colui che aveva ridato la vita al re; ognuna delle donne, pertanto, attingendo con una coppa da un forziere, donò a Democede dell' oro, in tale quantità, che il servo, di nome Schitone, che lo seguiva, raccattando le monete che cadevano fuori dalla coppa, ne raccolse un bel numero.
Democede, proveniente da Crotone, aveva fatto conoscenza con Policrate nel seguente modo: a Crotone conviveva col padre, uomo facile all'ira, per cui, non potendo più sopportarlo, lo lasciò e andò a stabilirsi ad Egina. Stabilitosi colà, in un anno superò in abilità tutti i medici del luogo, sebbene fosse sprovvisto dei mezzi e degli strumenti necessari alla sua professione, tanto che l' anno dopo gli Egineti gli fissarono lo stipendio di un talento. Nel terzo anno gli Ateniesi lo stipendiarono per cento mine, nel quarto Policrate gli offrì due talenti, e fu così che egli si trasferì a Samo. Non poca fama venne ai medici di Crotone grazie a Democede: si disse anzi che essi erano, a quei tempi, i migliori medici greci, seguiti da quelli di Cirene.
Dopo aver guarito Dario, Democede ebbe a Susa una grande casa e divenne commensale del re e nulla gli mancava, salvo una cosa: la libertà di tornarsene in Grecia. Per sua intercessione i medici egiziani, che prima curavano il sovrano e stavano per essere impalati, perché si erano lasciati superare dal medico greco, furono graziati: e così pure l'indovino di Elea, che aveva fatto parte del seguito di Policrate ed era rimasto dimenticato fra gli schiavi di Orete. Insomma, Democede divenne un personaggio molto influente alla corte di Dario.
Dopo poco tempo avvenne che ad Atossa, figlia di Ciro e moglie di Dario, si sviluppò un tumore nella mammella, che poi scoppiò e cominciò a propagarsi per tutto il corpo. Finché il tumore fu piccolo, Atossa lo tenne nascosto a tutti per pudore e non ne parlò con nessuno: ma poi, essendosi il male aggravato, mandò a chiamare Democede e glielo mostrò. Questi le promise di guarirla, ma le fece giurare che avrebbe fatto per lui qualunque cosa le avesse chiesto, assicurandole però che non avrebbe preteso da lei nulla di disonorevole."
presso i Budini
"i Budini non hanno né la stessa lingua né lo stesso modo di vivere dei Geloni: sono autoctoni e nomadi e, soli fra i popoli della regione, mangiano i pinoli. I Geloni invece lavorano la terra, si cibano di grano, coltivano gli orti e differiscono anche nell' aspetto e nel colore della pelle. Tuttavia i Greci erroneamente chiamano Geloni i Budini. Il loro paese è coperto di dense foreste di alberi di ogni specie; nella più vasta di esse c'è un lago grande e profondo, contornato da acquitrini e canneti; nel lago si catturano lontre e castori e altri animali col muso quadrato, con le pelli dei quali, cucite insieme, si fanno fodere per i mantelli: i testicoli vengono usati per curare le malattie dell' utero."
rimedi per il catarro
"a occidente del lago Tritonide i libici non sono più nomadi, hanno usi diversi e non fanno più ai loro figli ciò che sogliono fare i libici. infatti questi ultimi -se tutti non posso dire con sicurezza, ma certo la maggior parte- quando i bambini hanno quattro anni, bruciano loro con lana di pecora non sgrassata le vene della parte superiore del capo e alcuni anche quelle delle tempie, per evitare che nel resto della loro vita soffrano del catarro che scende dalla testa: ritengono così di mantenere i bambini più sani. In verità i libici, fra tutti i popoli che conosciamo, sono quelli che godono una salute migliore; se ciò sia per l'uso che ho detto dinanzi, non lo posso asserire, ma certo è che sono sanissimi. Se ai bambini , mentre li cauterizzano, sopravvengono le convulsioni, applicano questo rimedio da loro scoperto: li annaffiano di urina di capra e così li guariscono. Dico cose che sono i libici stessi ad affermare.